La pizza napoletana e la pizza romana sono oggi due grandi protagoniste della nostra cucina tradizionale, le più conosciute tipologie di pizze al piatto che vengono servite in tutte le pizzerie d’Italia, non solo nel Lazio e nella Campania.
Facendo questo mestiere da ormai tanti anni ho imparato che dare tutto per scontato è sbagliato. Nel nostro mestiere nulla è come appare, niente è davvero quello che sembra e, quindi, fermarsi all’apparenza può indurre in errore. Sono certo che nessuno, o quasi, saprebbe trovare le differenze se mettessi sul mio bancone una pallina di impasto per pizza di tipo napoletano e un impasto per pizza di tipo romano.
A occhio nudo, senza indicazioni, è in realtà molto difficile percepire le differenze tra questi due impasti, che in realtà ci sono e sono molte di più di quante non si possa immaginare. Una volta cotte, il risultato finale delle pizze è completamente diverso, eppure da crude non si direbbe: possibile che un impasto così semplice di farina e acqua possa nascondere tutti questi segreti e possa cambiare così tanto? Ebbene sì! Gli ingredienti che compongono questi due impasti per pizza sono qualitativamente gli stessi, anche perché, per legge, l’impasto pizza che può essere definito tale dev’essere composto rigorosamente da: acqua, farina, sale e lievito. Nient’altro può essere aggiunto a meno che non si voglia preparare un altro composto, che però non può fregiarsi del nome pizza.
Vi sto incuriosendo? Non sono qui a spiegare quale dei due sia migliore, voglio semplicemente spiegare che, anche se alla parola “Pizza” il pensiero va subito a Napoli e alla Campania, in realtà questo prodotto della tradizione gastronomica italiana ha avuto tantissime evoluzioni. Si è diversificato nel corso del tempo senza mai essere stravolto e l’impasto romano rappresenta forse una delle evoluzioni più significative di questo piatto.
Per spiegarvi nel dettaglio le differenze tra questi due impasti, che io stesso realizzo nel mio laboratorio Freesco Gusto per le pizzerie che ne fanno richiesta, devo necessariamente elencare rapidamente le caratteristiche peculiari di ciascuno e del prodotto finale che ne deriva.
Inizio con la pizza napoletana per questione di rispetto e di riverenza verso la Regina delle pizze, verso il capostipite di un piatto amato in tutto il mondo. Questa pizza, per tradizione, dev’essere morbida e il suo cornicione dev’essere necessariamente soffice.
Entrando maggiormente nello specifico dell’impasto, è ammessa una percentuale di acqua tra il 60-70% per ogni kg di farina utilizzato. Una quantità considerevole, quindi, ma necessaria per mantenere l’impasto morbido. L’elevata idratazione della pasta per pizza napoletana è indispensabile per regalare alla pizza la consistenza finale: l’impasto non deve asciugarsi durante la cottura ma deve mantenere e preservare l’idratazione per offrire la morbidezza caratteristica.
Secondo il disciplinare napoletano, l’impasto deve maturare in un ambiente naturale per un tempo compreso tra le 8 e le 24 ore e la quantità di lievito utilizzata dev’essere correlata al tempo di maturazione.
La cottura della pizza napoletana avviene generalmente in forno a legna specifico, che si caratterizza per la volta di altezza non elevata, che permette una bassissima dispersione del calore. La pizza deve restare in forno a 450 gradi al massimo 90 secondi, 50 in alcuni casi, in base al risultato che si vuole ottenere: un tempo di cottura così ridotto è funzionale al mantenimento della consistenza soffice della pizza, perché evita la completa evaporazione dell’acqua dell’impasto. Se la pizza napoletana è stata cotta nel rispetto del disciplinare non deve mai scrocchiare quando la mordete, nemmeno sui bordi.
Chi fa questo di lavoro sa benissimo quanto possa essere difficile realizzare una vera pizza napoletana, a differenza di chi si diletta nel tempo libero in queste attività: se vengono fatti degli errori, anche minimi, in fase di impasto, di maturazione o di cottura, quelli che sono i punti di forza dell’impasto napoletano si trasformano inevitabilmente in difetti.
Avete presente le pizze gommose, che non si tagliano e che al morso presentano una certa resistenza? Questi sono tutti sintomi di un impasto mal riuscito, in cui non sono state rispettate le tempistiche maturazione. Oppure che la pezzatura della pallina di impasto era eccessiva per la realizzazione di una sola pizza, con il risultato di aver creato una base troppo spessa quando, invece, la vera pizza napoletana è piuttosto sottile.
Credete che mi sia dilungato eccessivamente nella spiegazione dell’impasto per pizza napoletano? In realtà vi ho dato solamente una lieve infarinata di quello che è il disciplinare per la sua realizzazione. Queste sono le nozioni principali per capire la differenza con la pizza romana, che viene comunemente detta scrocchiarella.
Ecco, già solo il nome con cui i romani chiamano la loro pizza dovrebbe darvi la prima indicazione sulla differenza più importante tra questi due impasti. La pizza romana, infatti, è discretamente croccante e quando la si addenta, scrocchia.
Perché questa differenza? La prima differenza fondamentale tra i due impasti è insita nella quantità di acqua: l’impasto di tipo romano ha una percentuale di acqua mai superiore al 55% per ogni kg di farina utilizzato.
Inoltre, nella pizza romana, a differenza di quella napoletana, in fase di impasto si deve aggiunger un filo d’olio: è questo uno dei segreti della sua croccantezza. Non sto qui a spiegare anche le differenze nella stesura dell’impasto, perché mi dilungherei eccessivamente, ma sappiate che quando vedete i pizzaioli acrobatici, quelli che utilizzano sono sempre dischi di impasto napoletano e mai romano, perché la consistenza di quest’ultimo non permetterebbe simili evoluzioni.
Anche in fase di cottura ci sono delle importantissime differenze tra le due tipologie di impasto, perché la pizza romana richiede una cottura molto più lunga, circa 3 minuti, in un forno che non supera i 350 gradi di temperatura. Questo perché è necessario che il calore assorba quanta più umidità possibile dall’impasto, conferendo alla pizza la friabilità per cui è nota.
Anche per questo impasto i rischi e gli errori sono dietro l’angolo ed è facile sbagliare, soprattutto in fase di cottura: nella pizza scrocchiarella, infatti, a differenza di quella napoletana, qualche piccola bruciatura dell’impasto è sempre gradita a patto che non sia eccessiva.
I maggiori rischi si corrono quando la pizza è molto sottile, perché i suoi tempi di cottura si possono accorciare sensibilmente e sta alla bravura del pizzaiolo riconoscere il momento giusto per sfornare la pizza, né troppo cotta e nemmeno cruda.
Queste sono, fondamentalmente, le differenze principali nell’impasto tra le due tipologie di pizza, anche se ancora non ho parlato dei condimenti, di cui accennerò velocemente per dare giusto un quadro più completo della situazione.
La pizza napoletana DOC è esclusivamente di due tipi: Margherita e Marinara, la prima con pomodoro, mozzarella e basilico, la seconda con pomodoro, origano e aglio.
Entrambe richiamano la bandiera tricolore ed è fondamentale che tutti i condimenti siano conformi a quanto indicato nel disciplinare.
La pizza romana, di contro, non deve rispettare nessun disciplinare specifico ma anche in questo caso esiste una ricetta tradizionale per il condimento, che non si ritrova nella tradizione napoletana.
Oltre alla base con pomodoro e mozzarella, infatti, il condimento della pizza romana più classica prevede l’utilizzo di acciughe dissalate, pecorino, pepe e basilico spezzettato; talvolta si uniscono anche le verdure fresche di stagione a fine cottura.
Voi preferite la morbidezza dell’impasto napoletano o preferite sentire la croccantezza dell’impasto romano?
Per me, la risposta esatta, non esiste: io sono un estimatore della pizza ben fatta, qualunque essa sia.