Sono quasi certo che solo pochi di voi sanno cosa sia la pinsa e non mi stupisce. Se, infatti, questo piatto è pressoché sconosciuto all’interno dei confini della Capitale, dove peraltro è nato, non si può certo pretendere che sia noto al di fuori. Tuttavia, ho deciso di dedicare un articolo proprio alla pinsa perché credo che valga assolutamente la pena di conoscere questo prodotto della tradizione romana, scomparso per tanti secoli e finalmente riproposto in chiave moderna.
Per spiegarvi cos’è la pinsa, voglio subito dirvi cosa non è. La pinsa, infatti, non è una pizza: non provate nemmeno a chiamarla così perché qualcuno potrebbe anche offendersi.
Partiamo dal suo nome, pinsa: questo termine così particolare (la cui assonanza con pizza è indubbia ma che non deve confondervi) è un termine che deriva dal latino pinsere, ossia allungare, stendere o schiacciare. Già da questo, dovreste riuscire a farvi una prima idea su cosa sia la pinsa, che in effetti nella sua versione moderna non è nata da tanto, anzi, è un piatto relativamente molto recente ma le sue origini sono molto più antiche e si perdono in epoca imperiale, durante l’antica Roma. Stando ad alcuni studi effettuati sulle abitudini alimentari durante l’Impero Romano, è emerso che i contadini che abitavano fuori dalle mura dell’urbe preparavano un piatto utilizzando quello che avevano a disposizione, ossia i cereali. La farina di miglio, orzo e farro (ma non di grano, perché era considerato l’oro di Roma, quindi requisito dall’Impero e rivenduto a caro prezzo) era la base per la realizzazione di una spianata, arricchita con erbe aromatiche e sale. Ecco cos’è la pinsa, anche ai giorni nostri!
Nel corso dei secoli questo piatto è stato perso e ritrovato innumerevoli volte, così come sono tantissime le ricette rivisitate della pinsa, che in molti casi hanno snaturato completamente il prodotto. Oggi, però, questo piatto è stato riportato definitivamente in auge da alcuni cultori della tradizione gastronomica tradizionale e la ricetta della rivisitazione moderna è molto simile a quella originaria.
Devo ammettere che fino al mio arrivo a Roma, nel 2013, nemmeno io ero a conoscenza dell’esistenza della pinsa ma nel momento in cui ho scoperto questa preparazione mi sono incuriosito. Il nostro è un Paese straordinario, in cui ogni regione e ogni città ha le sue ricette peculiari che, purtroppo, il tempo e la scarsa cura tendono ad annebbiare. Per fortuna c’è chi, ogni tanto, si impegna per riportare in vita queste ricette, scavando con impegno nel nostro passato, per ridare ai prodotti di un tempo la dignità che meritano.
Detto questo, voglio farvi conoscere questo piatto più da vicino. Per rispettare la tradizione romana antica della pinsa, anche oggi questa “spianata” si prepara esclusivamente (o quasi) con farine di cereali diverse dal grano: farina di riso e soia sono quelle maggiormente impiegate da chi vuole riproporre la ricetta classica ma ovviamente c’è anche chi la realizza utilizzando la farina di frumento, assente nella tradizione. Voglio soffermarmi un po’ sull’utilizzo delle farine di riso e di soia: come ben sapete, gli impasti realizzati con queste materie prime fanno parte del mio catalogo Freesco Gusto perché le loro proprietà nutrienti sono davvero sensazionali. La farina di soia non era nota in Italia ai tempi dell’antica Roma ma era già abbondantemente coltivata in Cina, quindi non veniva utilizzata per la pinsa, però è comunque una valida soluzione per ottenere un composto altamente digeribile. A livello organico, il seme della soia ha una quantità di amido molto inferiore rispetto ad altri legumi e questo rende la sua farina estremamente digeribile, ma di contro ha un’elevata quantità di zuccheri semplici, che il nostro organismo assimila ed utilizza molto facilmente. Tuttavia, la presenza degli zuccheri semplici nella farina di soia non deve allarmare, perché il suo indice glicemico è notevolmente inferiore rispetto a quello del grano (circa 25 per la farina di soia e 85 per la farina di grano). Oltre a questo, ci tengo a dire che tale farina presenta un carico di proteine molto elevato rispetto ad altri legumi e, soprattutto, ha una composizione di amminoacidi essenziali molto completa, il che lo rende un alimento preziosissimo in chi deve seguire particolari regimi alimentari per questioni sportive o sanitarie.
Altrettanto interessanti sono le caratteristiche della farina di riso, senz’altro una delle più diffuse nell’alimentazione delle persone celiache o intolleranti al glutine, vista la sua bassissima presenza in questo frumento. Anche il riso non era tra gli ingredienti principali della pinsa originaria, perché sebbene i romani arrivarono a conoscere questo cereale (anche se in epoca molto avanzata), il suo consumo non era contemplato nella loro dieta. Per la pinsa moderna, invece, la farina di riso è molto diffusa perché questo prodotto non ha una elevata lievitazione, proprio a causa dell’assenza di gliadina e glutenina, ma questa è la condizione ideale per realizzare una spianata fragrante molto vicina a quella originale. Se l’assenza del glutine rende la farina di riso un alimento essenziale nella dieta delle persone intolleranti, è interessante notare che la percentuale di proteine della farina di riso è di circa la metà rispetto a tutti gli altri cereali, proprio a causa dell’assenza del glutine. I grassi sono quasi del tutto assenti in questa farina, mentre abbonda l’amido, che la rende una di quelle con il più elevato potere calorico. Ha un buon contenuto di vitamine B ed E e di sali minerali, anche se la loro quantità è molto più elevata nella farina di riso integrale rispetto a quella brillata, sottoposta a una lavorazione maggiore. Anche per questo motivo io consiglio sempre la farina di riso integrale, in cui viene conservata una buona parte della parte esterna del chicco che, altrimenti, viene persa nella raffinazione, un po’ come accade con la farina 0 e 00.
Tornando alla pinsa, il suo impasto si realizza utilizzando entrambe queste farine ma aggiungendone una terza: i cultori del genere direbbero che non andrebbe utilizzato il frumento perché non era presente nella ricetta originale ma la sua presenza è fondamentale per ottenere l’impasto ottimale. Già con queste nozioni base è facile capire come il suo impasto sia particolarmente leggero e nutriente ma c’è un elemento che a me ha fatto innamorare di questo piatto, ed è la lievitazione! La pinsa moderna, rispettando la tradizione, viene realizzata esclusivamente con il lievito madre ma soprattutto ha un tempo di lievitazione che varia tra le 48 e le 72 ore: un impasto come questo, lievitato per 72 ore, assume una leggerezza e un sapore davvero sublimi e, soprattutto, rendono la pinsa assolutamente digeribile!
La lievitazione dell’impasto della pinsa è praticamente la stessa di alcuni miei impasti e chi ha già avuto modo di assaggiarli ha riscontrato la totale assenza e senso di gonfiore e di secchezza delle fauci che provoca la pizza nella maggior parte dei casi ossia quando, per la fretta e la poca attenzione ai dettagli da parte di chi realizza l’impasto, non viene lievitata per un tempo adeguato. Questo nella pinsa non può accadere! Un altro elemento che ho trovato particolarmente interessante nella procedura di preparazione dell’impasto per la pinsa è che non è presente il sale, che viene aggiunto solamente a cottura ultimata ma può anche non essere messo, dipende dal gusto di chi la ordina.
Sulla base della pinsa, poi, si possono aggiungere tutti i condimenti che si desiderano, ricordandosi che non è una pizza ma che la sua essenza è più vicina ad una focaccia. Anche se in tanti locali questo piatto viene condito e servito come fosse una pizza, quindi con le classiche ricette (margherita, marinara, quattro formaggi ecc.), io non trovo sia corretto appiattire in questo modo le differenze tra due piatti che, in sostanza, a parte essere due lievitati da forno, hanno poco in comune. Io, piuttosto, punterei all’aggiunta degli ingredienti a crudo, alla qualità estrema: differenziare la pinsa dalla pizza credo sia l’unico modo affinché questo prodotto della gastronomia romana riesca ad emergere e a farsi notare. Finché continuerà ad essere considerato un surrogato della pizza o, peggio, una sua imitazione, non sarà possibile permettere la sua diffusione come meriterebbe. La pinsa si presta per diventare la base di tantissime proposte, anche gourmet.